Che direzione sta prendendo il mare?

L’incidente delle scorse settimane che ha tenuto in scacco centinaia di navi nel Canale di Suez ha messo in evidenza una delle tendenze più chiare del panorama logistico legato al mare: il gigantismo navale.

Analizzando infatti l’evoluzione della struttura delle navi negli ultimi vent’anni, infatti, emerge un dato incredibile in riferimento alle dimensioni: le navi porta container sono praticamente triplicate nella grandezza; dalle 8063 Teu della OOCL Shenzhen nel 2003, la nave più grande dell’epoca, si è passati in meno di due decenni a 24.000 Teu.

Il futuro? Navi ancora più grandi

Leggendo questi numeri resta difficile ed artificioso immaginare un’ulteriore crescita in termini dimensionali, e quindi di capacità, delle navi portacontainer. La realtà però dice tutt’altro: queste imbarcazioni commerciali sono infatti destinate ad aumentare la propria “potenza” in maniera esponenziale.

Tutto questo in un’ottica di economia di scala: maggiore è la quantità di merce trasportata da una nave sulle lunghe distanze, ad esempio nelle tratte Europa-Asia sempre crescenti, minore è il costo del viaggio della “fetta” di merce da trasportare.

Il denaro risparmiato dagli armatori si riversa però indubbiamente sugli enormi investimenti ed i lavori ciclopici da  mettere in piedi sulle infrastrutture, specie in Paesi con macchine burocratiche complesse come il nostro.

Le infrastrutture devono necessariamente adeguarsi, anche al gigantismo navale

Se l’ulteriore ingrandimento delle navi è una realtà più che mai vicina, non deve assolutamente essere artificioso pensare ad un pesante adeguamento delle infrastrutture legate agli scali commerciali, soprattutto in Italia: il nostro Paese è ad oggi impossibilitato quasi ovunque ad accogliere navi portacontainer con le dimensioni di cui sopra.

Ma se il futuro, come si prevede, dovesse vertere proprio in questa direzione, i porti italiani, specie quelli infrastrutturalmente meno adeguati, che fine farebbero?

Queste sono domande importanti e che necessitano di una riflessione urgente, perché i porti italiani devono prepararsi ad accogliere imbarcazioni di queste dimensioni per non rischiare di essere spazzati via bruciando tutto ciò che in termini di logistica marittima si è costruito, soprattutto negli ultimi decenni.

Su questo blog lo abbiamo detto più volte: è necessario un fortissimo cambio di marcia nell’ambito degli investimenti sulle infrastrutture perché, anche a seguito dell’emergenza Covid, le aziende che sceglieranno di trasportare merce su navi di “piccole dimensioni” saranno sempre meno in virtù dei costi, e per tale ragioni il rischio di un crollo non è un’ipotesi eccessivamente remota.

Lavori su fondali, su banchine, sull’intermodalità e sulle infrastrutture in termini generali: per continuare a crescere non c’è altra strada.